01/03/2018

 

LA RESPIRAZIONE E IL SUO

 

APPARATO  DUE

 

Dall’articolo precedente.    La superficie respiratoria polmonare e essenziale per il transito dell’ossigeno dall’aria nel sangue e per quello,  in senso contrario,  dell’anidride carbonica.  A questo punto si affaccia però un altro problema,  non meno essenziale,  che è quello del trasporto dei gas nel veicolo sanguigno.  L’ossigeno,  che entra nel sangue a livello della superficie respiratoria, nella massima parte viene utilizzato lontano da essa,  in tutti i tessuti dell’organismo.  E così l’anidride carbonica,  espulsa attraverso la stessa superficie,  proviene con il sangue,  da tutti i tessuti in cui si è formata durante la combustione delle sostanze organiche.  Un rapido conto permette subito di dire che,  Per soddisfare i bisogni dell’organismo,  l’ossigeno e l’anidride carbonica  trasportati dal sangue non possono essere allo stato gassoso,  perché troppo piccolo i volume di questi gas  che può sciogliersi nel sangue e di conseguenza troppo piccolo sarebbe il volume di questi gas già trasportato nel sangue nell’unità di tempo.

I gas in questione non solo devono essere sciolti fisicamente nel sangue,  ma anche combinati chimicamente in modo labile con alcuni componenti del sangue stesso.  Si sa infatti che l’ossigeno per la maggior parte,  è combinato con l’emoglobina a formare un composto labile,  “l’ossiemoglobina”, di colore rosso vivo.  Continua.

 

02/03/2018

 

L’anidride carbonica per la massima parte,  si trova legata agli ioni basici di sodio e di potassio,  a formare dei sali i bicarbonati,  o all’emoglobina stessa,  a formare un composto labile che è la carbodiossiemoglobina. Circa 20 ml di ossigeno si trovano combinati come ossiemoglobina  in 100 ml di sangue normale;  analogamente circa 60 ml di anidride carbonica sono combinati chimicamente in 100 ml di sangue normale;  di questi poco più del 5% è combinato come carbodiossiemoglobina.  Si può allora concludere che l’ossigeno dopo essere entrato in forma gassosa nel sangue della rete capillare polmonare (o bronchiale negli animali acquatici),  si combina rapidamente con l’emoglobina e sotto questa forma è per la maggior parte  trasportato con il sangue ai tessuti.  Qui invece succede il fenomeno contrario a quello fino a qui considerato:   l’ossigeno si stacca dall’emoglobina, e penetra nelle cellule, di nuovo sotto forma gassosa.  Tragitto inverso percorre l’anidride carbonica prodotta dalla combustione cellulare:  essa a livello dei tessuti,  penetra nel sangue sotto forma gassosa, nel sangue si lega alle basi  e all’emoglobina.  Sotto questa forma l’anidride carbonica viene trasportata ai polmoni (o alle branchie),   dove si stacca dai globuli rossi e dalle basi poi esce verso l’ambiente esterno sotto forma gassosa.

È chiaro perciò che nel trasporto dei gas respiratori l’emoglobina,  il pigmento caratteristico del sangue,  gioca un ruolo fondamentale.  Il sangue normale deve avere una certa capacità di trasporto per i gas respiratori,  altrimenti si manifesta una malattia,  nota con il nome di “anemia”.   L’anemia non è propriamente uno stato di deficienza di sangue,  come potrebbe far pensare il nome, ma è soprattutto una carenza di emoglobina.  Il sangue che per deficienza di emoglobina trasporta meno ossigeno,  non è in grado di far fronte alle condizioni di maggior bisogno di ossigeno,  per esempio nel caso di un intenso lavoro muscolare.

Difatti il sangue degli anemici trasporta per unità di volume di sangue,  un volume di ossigeno minore che nei soggetti normali e questo si fa risentire sulla capacità di lavoro dei muscoli,  in quanto hanno a disposizione meno energia.  Uno stato di anemia specialmente se prolungato  e cioè cronico,  altera  lo stato di nutrizione dei tessuti e quindi la funzionalità di tutti gli organi.

Spero che tutto sia stato chiaro.  Elena  Lasagna

 

06/03/2018

 

Grazie,  mi è stato tutto chiaro,  ora mi piacerebbe avere una spiegazione scritta del cuore,  puoi?

 

06/03/2018

 

Sì,  lo farò,  non tutto in un giorno ma ti prometto che l’avrai.

 

IL CUORE

 

Il cuore è una struttura piuttosto complicata, è all’origine ,  anche nel corso del suo sviluppo embrionale nell’uomo,  un tubo con pareti contrattili (miocardio).  Questo tubo poi si ripiega, la sua cavità viene suddivisa in pareti sagittali  (verticali) e trasversali (orizzontali) in quattro scompartimenti:  due atrii situati superiormente e due ventricoli inferiormente. Due solchi perpendicolari,  visibili dall’esterno,  e il decorso dei vasi superficiali che nutrono il cuore,  indicano approssimativamente tale compartimentazione.  Il cuore nel suo insieme è un organo carnoso, grosso press’a poco quanto un pugno,  di forma grossolanamente conica,  con la base superiore e l’apice, che è inferiore rivolto verso sinistra.  È situato nel torace,  tra i polmoni,  davanti all’esofago e all’aorta,  grossa arteria che nasce dal cuore e lo circonda formando un arco che volge a sinistra,  indietro e ben presto in basso.  Il cuore riposa sul diaframma,  sul quale è inserito il sacco pericardico che racchiude il cuore e che bisogna aprire per rendere  visibile l’organo.  Davanti al cuore si trovano il timo o ciò che ne è rimasto nell’adulto, e lo sterno,  e una porzione della cassa toracica.  Dalla base del cuore emergono anche l’arteria polmonare,  le vene cave, e le vene polmonari.  Aprendo il cuore per studiarne la struttura interna,  si vede che ciasun atrio comunica col corrispondente ventricolo per mezzo di un orifizio,  detto atrioventricolare,  munito di valvole che consentono al sangue di passare dall’atrio al ventricolo sottostante,  ma che impediscono il reflusso del sangue dal ventricolo all’atrio e assicurano così un  percorso a senso unico:  vene  →  atrio  →   ventricolo    →   arterie.  la valvola dell’orifizio atrioventricolare destra è detta valvola “tricuspide”,  perché formata da tre lembi laminari triangolari  (cuspidi),  la cui base superiore è saldats al bordo dell’orifizio, e il cui vertice,  l’orlo e la faccia esterna sono connessi per mezzo di corde tendinee ai muscoli papillari,  sporgenze della parete del ventricolo che,  contraendosi, tirano in basso i lembi valvolari e rendono pervio l’orifizio atrioventricolare.  Lo stesso avviene per  l’orifizio atrioventricolare sinistro,  che però è chiuso da una valvola  a due lembi detta biscupide o mitrale.  Continua.

 

07/03/2018

 

Se i  muscoli papillari sono rilassati e per effetto della contrazione ventricolare (sistole),  il sangue viene spinto in alto,  esso sposta nella stessa direzione anche i lembi valvolari che,  avvicinandosi e combaciando,  chiudono l’orifizio e impediscono il passaggio del sangue dal ventricolo all’atrio.  Il sangue invece è convogliato verso  l’arteria corrispondente ( aorta per il ventricolo sinistro e polmonare per il ventricolo destro),  anch’essa munita di valvole,  del tipo detto a “nido di rondine” (semilunari),  che lasciano uscire il sangue dal ventricolo verso l’arteria,  ma ne impediscono il reflusso.   Come ben si nota comunicano tra di loro la parte superiore e quella inferiore della stessa metà del cuore,  ma non comunicano tra di loro  le due metà che sono separate dal setto interatriale e dal setto interventricolare.  In tal modo non è possibile che dopo la nascita, si mescolino il sangue ossigenato a quello non ossigenato,  cioè quello che ancora deve andare ai polmoni con quello che ritorna.  Prima della nascita,  quando l’ossigenazione avviene attraverso la placenta ( e i polmoni non funzionano),  la maggior parte dell’atrio destro passa direttamente nell’atrio sinistro attraverso il foro di Botallo,  aperto nella parete interatriale,  immettendosi nel grande circolo invece di andare ai polmoni (piccolo circolo) che non funzionano ancora.  Un’altra parte del sangue evita il polmone passando dall’arteria polmonare all’aorta mediante un vaso arterioso ,  Il dotto di Botallo, che unisce le due arterie.  Il foro e il dotto di Botallo si occludono alla nascita, e così il grande  e il piccolo circolo vengono separati.  Quindi,  com’è facile comprendere,  la mancanza di tale occlusione è la causa di una malattia che può essere anche mortale,  perché non tutto il sangue venoso andrà ad ossigenarsi e di ciò soffriranno i vari organi e l’intero organismo;  questa patologia è detta “Morbo blu”.  Come in genere si riscontra negli altri organi cavi, le pareti del cuore sono formate da tre tuniche sovrapposte,  ma di natura diversa,  per esempio da quelle del tubo digerente.  Infatti all’interno del cuore  endocardio,  troviamo che continua l’endotelio o tunica interna dei vasi,  ed è formato da cellule di aspetto epiteliale, pavimentose a contorni frastagliati;  in mezzo il miocardio,  o tunica cardiaca media,  costituito da fibre muscolari striate simili a quelle scheletriche ma con particolari e caratteristiche che le distinguono da quelle.  Continua.

 

08/03/2018

 

Tali differenze consistono nella presenza di strie intercalari che sono i punti di unione e di ingranaggio della membrana avvolgente  (sarcolemma) di due fibre adiacenti;  nella posizione delle miofibrille,  situate alla periferia e non al centro come nelle scheletriche,  mentre al centro vi è il citoplasma (sarcoplasma) e il nucleo.  Del miocardio,  oltre al tessuto proprio,  ora descritto,  fa parte anche il tessuto di conduzione,  che è formato da un particolare tessuto muscolare,  costituito da cellule piliedriche  (non allungate) con abbondante citoplasma,  ricco di glicogeno e con scarse miofibrille,  spesso disposte a vortice anziché ordinate in fascetti lungitudinali,  le quali passerebbero nelle fibre del tessuto proprio.

Il tessuto di conduzione forma due accumuli o nodi,  situati uno nella parete del seno venoso dell’atrio  (nodo di Keith e Flack) e l’altro (nodo di Tawara) nella parete posteriore del setto interatriale in corrispondenza del solco atrioventricolare; da questo parte il fascio di Paladino-His che presto si biforca in una branca destra e una branca sinistra,  destinate alle pareti del ventricolo corrispondente.  Ricevuto l’impulso dal nodo del seno il sistema di conduzione è in grado di trasmetterlo rapidamente ai vari segmenti del cuore e così regolare il ritmo e la sequenza temporale della contrazione.  La terza tunica del cuore,  o tunica esterna,  è l’epicardio,  che ha i caratteri di una sierosa (è cioè come il peritoneo e le pleure)  e si continua con quella del sacco fibroso (pericardio),  che come ho già detto racchiude il cuore.